Il lavoro mobilita l’uomo

PD_ER_Manifesto_Primo_Maggio.inddMio padre che lavora la notte e dorme di giorno. Mia madre che mi mette in un box con fratelli e cugini per scrivere a macchina la tesi di qualcuno che oggi forse è nonno. Un negozio da mandare avanti, con mia sorella adolescente alla cassa. Un fratello che va a Rimini a fare il cameriere l’estate, poi si imbarca per tre anni e trova un miliardo di modi per tirar fuori uno stipendio.

A sedici anni fare volantinaggio per andare in vacanza. A 18 vendere le guide alla facoltà nella città universitaria per pagarci la tassa. A venti fare il magazziniere a 3 ore da casa, sudando freddo ogni volta che arrivava un camion da scaricare e col muletto devi correre, che deve ripartire subito. Quando c’è bisogno mettersi alla catena di montaggio, dove i colleghi anziani sono senza espressione, pagati a cottimo, e si incazzano ogni volta che blocchi la macchina perché non riesci a starle dietro.

A ventitre anni fare la guida in un Museo, entrando quando è ancora buio e uscendo che il sole è sceso di nuovo. Poi il primo contratto vero, a fare le pulizie in una Basilica grande come uno stadio, 45 ore a settimana per uno stipenio inferiore al minimo sindacale: ma si lavora tutti i mesi, forse si può mettere qualcosa da parte.

A venticinque anni inviare cv ovunque e accettare qualsiasi lavoro ti permetta di imparare, anche a nero, anche sottopagato. A ventisette accettare una sfida rischiosa e provare a dimostrare che qualcosa di buono lo sai fare, qualche volta meglio degli altri, e iniziare a costruire una professione fatta di soddisfazioni e di precarietà, nella quale non si smette mai di studiare e per fortuna ogni tanto si trova qualcuno che ha fiducia in te.

A 39 vedere un anno di contratto come una condizione di relativa serenità e continuare a cercare di imparare nuove cose, che più competenze puoi offrire maggiori possibilità hai di trovare un contratto.

Per me il lavoro è stato soprattutto questo. Non so che lavoro farò fra due anni, ma so quali sono quelli che ho fatto sinora: non c’è una sola esperienza che cancellerei, perché da ognuna ho raccolto qualcosa in termini di esperienza, rapporti umani, soddisfazioni. Oggi, 1 maggio, mi sento fortunato.

Evviva i lavoratori, certo. Ma solo quando la parola lavoro non ricorderà la disperazione per la sua mancanza, la frustrazione per il suo sfruttamento, l’umiliazione della meritocrazia e la mortificazione delle aspirazioni, questo sarà un giorno da festeggiare davvero.

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