Fedez e la censura, Pio & Amedeo e le risate

Tutti hanno letto della denuncia di Fedez, secondo il quale i dirigenti RAI hanno cercato di censurare preventivamente il suo intervento al concerto del 1 Maggio, impedendogli di citare frasi omofobe pronunciate da politici leghisti e dicendo apertamente i nomi degli autori.

Malgrado la smentita della RAI, il video della telefonata registrata dal rapper non lascia molti dubbi in proposito. Quello che colpisce, cogliendo il palese imbarazzo dei dirigenti RAI Tre, è che probabilmente questi burocrati non hanno nemmeno ricevuto l’ordine di decidere così: lo hanno fatto sapendo che una presa di posizione netta come quella di Fedez, sulla televisione pubblica, avrebbe suscitato reazioni politiche.
E la prima conseguenza probabilmente sarebbe stata uno stop alle loro carriere: evidentemente anche la libertà ha un costo e non tutti, come Fedez, possono permettersi di pagarlo.

Così mentre sulla rete ammiraglia Mediaset, che ha un padrone, Pio e Amedeo ci spiegano in prima serata che se dici negro e ricchione, o se fai battute antisemite, in fondo va bene lo stesso, basta ridere in faccia a chi usa queste parole, (anzi per molti osservatori il problema è tuo se non capisci lo spirito e non cogli che a volte si fa senza cattiveria, “così, per ridere!”), sulla televisione pubblica, che è di tutti ma che finisce per essere della politica, si invita l’artista a considerare “il contesto”.

Fedez ha ragione a indignarsi, come tutti noi, ma forse stavolta invece che concentrarci su quanto siano aberranti le idee che il rapper vuole denunciare (viva i diritti, sempre, per tutti), una riflessione la meriterebbe anche “il sistema”, che ormai va autonomamente a tutelare certi interessi e a proteggere certi equilibri.

Perché sarebbe ora di chiedersi se il “sistema” che vede la politica impadronirsi di ogni strumento collettivo non sia, per la democrazia, più dannoso del delirio omofobo di un consigliere leghista. Soprattutto se la soluzione che spesso si invoca è la dismissione di tali strumenti, con il risultato di metterli tutti in mano ai privati che possono permetterseli, fossero pure gli stessi che ci spiegano che che “mettere nel forno un figlio gay” può essere una metafora. Magari da contestualizzare. O da disinnescare ridendo in faccia a chi lo dice.

Meglio se in privato però. O almeno lontano dalle telecamere di RAI Tre.

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La seconda ondata e il “Si salvi chi può”

Ci dobbiamo preoccupare? Dopo la tregua estiva il Covid19 fa registrare decine di migliaia di nuovi positivi ogni giorno, un tasso crescente di positività dei tamponi effettuati, ospedalizzazioni e decessi che crescono. Anche se c’è chi dice che in fondo la situazione sarebbe meno grave di quanto sembra, la seconda ondata è arrivata.

(Foto Manduria Oggi)

In questa situazione in cui tutto è contestabile, mi fido soprattutto del giudizio dei medici e paramedici che lavorano negli ospedali. Per questo tremo se, come sta succedendo, da quelli che conosco mi arrivano segnali preoccupanti. Uno di loro, poco prima che iniziassi a scrivere, ha detto che è molto peggio che ad aprile. Certamente è così al centro-sud: nel Lazio ad esempio, affrontiamo un’emergenza di proporzioni enormi rispetto alla prima ondata, che fu particolarmente drammatica in una sola porzione del territorio italiano, come in molti potrebbero testimoniare, avendo conoscenza diretta di più casi in queste poche settimane che durante tutta la primavera.

Se queste informazioni sono vere, non serve fare confronti tra la fotografia di oggi e quella di aprile-maggio, se non si tiene conto della velocità di progressione dei numeri. Se non si considera che altrove la stessa progressione sta portando al collasso come in Francia, e anche in Germania fa correre ai ripari con misure dannose per l’economia.

Una rotta che andrebbe invertita velocemente, perché non è questione di mesi o settimane, ma di giorni prima che i numeri diventino insostenibili. Soprattutto se l’unica soluzione è fidarci della nostra capacità (ma in molti casi anche possibilità) di tenere comportamenti idonei a non far veicolare il virus. A quel punto potrebbe essere inevitabile bloccare lo sviluppo del contagio attraverso il lockdown, e non più tramite il tracciamento e i tamponi che mi pare chiaro siano in costante ritardo sul virus.
Una scelta che non solo non è auspicata da chi governa, che sa che con essa dovrebbe affrontare molte più difficoltà, ma che sarebbe insostenibile per le economie delle famiglie: ne sono tutti consapevoli, per cui mi pare vuota retorica e bassa speculazione politica utilizzare questa argomentazione come sfavorevole alla chiusura.
La priorità dunque diventa quella di trovare sin d’ora le risorse e le soluzioni per chi non potrà lavorare, compresi i sommersi, e che arrivino subito e in misura adeguata.
In attesa dei promessi fondi europei (che comunque non sono la manna né una vittoria alla lotteria), che arriveranno fra diversi mesi, si rendono necessarie misure alternative, che uniscano il Paese e non le corporazioni, come ad esempio chiedere un piccolo, proporzionato sacrificio a chi è più garantito, e un contributo straordinario di solidarietà da parte di chi dispone di grandi redditi e patrimoni (come hanno fatto in Spagna, per un risultato complessivo non eccezionale ma certo dando un segnale importante di solidarietà sociale).

Non c’è tempo, non c’è scelta: mentre intere città vanno in ebollizione, dobbiamo decidere se è più importante soffermarci a disquisire se nelle piazze che si rivoltano c’è la presenza di ultras, fascisti e malavitosi, oppure prendere atto che quelle piazze danno voce ad un’esigenza reale e drammatica, che mafia e fascisti sono abili a cavalcare.

In questo quadro in cui le forze anti Stato cercano di utilizzare il disagio e la sofferenza di larghe fette di popolazione, lo Stato ha il compito di farsi esso stesso l’interlocutore di quelle piazze.
Per farlo deve essere convincente e credibile: prima di far “circolare bozze”, dica in che modo supereremo non solo il virus, ma anche la crisi economica, non solo col sacrificio dei cittadini, ma anche grazie all’intervento delle Istituzioni. Parli di riforma fiscale, di una leva giusta e proporzionata, che non cerchi solo quale sia la categoria da salvare, ma che agisca anche sulle differenze enormi all’interno della stessa categoria. Ristorazione, cultura, turismo, intrattenimento, terzo settore in generale: non basta dare soldi a tutti, se non si garantisce non solo un parziale ristoro per i più grandi, ma la sussistenza per quelli più in difficoltà.

In fretta e con chiarezza, lo Stato esca dalla sola gestione emergenziale del fenomeno e torni a dare una prospettiva di uguaglianza e giustizia sociale. Ci sono cittadini che nel momento di massimo sacrificio hanno bisogno di aiuto per sopravvivere, ma anche di validi motivi per cui valga la pena uscire vivi dal lockdown.

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Ripensare gli spazi urbani per un nuovo modello di cittadinanza: ne ho scritto per Left

La quarantena ha presentato in maniera evidente il costo in termini sociali di città nelle quali vive più della metà della popolazione italiana, pensate con un centro storico di pregio e molte periferie-dormitorio, ove l’urbanistica non favorisce la convivenza ma anzi la mancanza di spazi comuni e servizi di qualità acuisce conflitti sociali tra deboli: con l’economia in ginocchio e la necessità di interventi pubblici per rilanciarla, è doveroso immaginare un ripensamento del sistema-città e nuovi modelli di partecipazione attiva alla trasformazione di esse. Ne ho scritto per Left, trovi qui l’articolo completo.

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@FabrizioMoscato