
La mattina del cinque di agosto
si muovevano le truppe italiane
per Gorizia, le terre lontane
e dolente ognun si partì.
Sotto l’acqua che cadeva a rovescio grandinavano le palle nemiche;
su quei monti, colline e gran valli
si moriva dicendo così:
O Gorizia, tu sei maledetta
per ogni cuore che sente coscienza; dolorosa ci fu la partenza
e il ritorno per molti non fu
O vigliacchi che voi ve ne state
con le mogli sui letti di lana,
schernitori di noi carne umana,
questa guerra ci insegna a punir.
Voi chiamate il campo d’onore
questa terra di là dei confini;
qui si muore gridando: assassini! maledetti sarete un dì.
Cara moglie, che tu non mi senti raccomando ai compagni vicini
di tenermi da conto i bambini,
che io muoio col suo nome nel cuor.
Traditori signori ufficiali
che la guerra l’avete voluta,
scannatori di carne venduta,
e rovina della gioventù
O Gorizia, tu sei maledetta
per ogni cuore che sente coscienza; dolorosa ci fu la partenza
e il ritorno per molti non fu.
Tra il 9 e il 10 agosto del 1916, a Gorizia furono massacrati 52.000 italiani e 41.000 austriaci.
Il 4 novembre dovrebbe rappresentare la fine di una follia (“l’inutile strage” la definì Benedetto XV) da ricordare, non una vittoria da festeggiare.
Perché al di là della retorica, non si è mai visto un popolo uscire vincitore da una Guerra.