
Archivio mensile:novembre 2018
Violenza sulle donne: decalogo anti-ipocrisia
La violenza sulle donne e il femminicidio sono piaghe terribili, molto facili da condannare per un uomo: in fondo riguardano una minoranza di individui, facilmente identificabili come il nemico da sconfiggere.
Ma se allargassimo il campo degli atteggiamenti offensivi della dignità delle donne? Magari facendoci qualche domanda su dove si annidi la mentalità che porta alle aberrazioni che tutti condanniamo.
Per esempio, forse offendiamo una donna quando:
- La costringiamo ad essere bella e la deridiamo se non lo è;
“Dovresti valorizzarti”
“Inchiavabile” - Ne valutiamo le potenzialità sessuali anche se non è una sex worker;
“Chissà questa che fa?” - Ci domandiamo a chi ha concesso i suoi favori se ricopre una postazione professionale importante;
“A chi l’ha data?” - Consideriamo “uterino” o isterico ogni comportamento non conforme alle nostre aspettative;
“Mi sa che sta in quei giorni” - Facciamo considerazioni o diamo consigli sulle scelte che riguardano la sua vita sessuale;
“Se vai con tutti, poi come puoi pretendere rispetto?” - La invitiamo a prendere in considerazione una maternità perché l’età è quella giusta o le domandiamo perché non lo fa;
“All’età tua bisogna che ti sbrighi!” - Ne giudichiamo l’abbigliamento o l’atteggiamento in base al nostro stereotipo o al ruolo sociale che per noi dovrebbe ricoprire;
“È una suora”
“Ma ti pare che una mamma faccia così?” - La educhiamo da bambina ponendo limiti alle sue possibilità future;
“Dài, fai così, da brava signorina” - Le chiediamo di tenere sempre in considerazione le reazioni che i suoi comportamenti possono provocare su un maschio.
“Se fai così te la cerchi”
“Quello è un uomo, figurati se puoi trattarlo così” - La immaginiamo grande solo perché sta dietro un grande uomo: sono capaci di stare dove vogliono loro.
Questo decalogo è stato pubblicato nel novembre del 2018. L’anno successivo, nel corso della manifestazione “Però mi vuole bene”, organizzata a Cassino (FR) con la direzione artistica di Elisabetta Magani, nell’ambito della celebrazione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, è stato letto dal Sindaco Enzo Salera e all’Assessora Barbara Alifuoco.
Erano gli anni
Erano gli anni del grunge, c’erano i Nirvana e le camicie a quadrettoni, i maglioni grandissimi che quasi ti nascondevano le mani, che se eri figo li portavi sulla pelle. C’erano gli anfibi, per le ragazze anche sotto la gonna, loro tutte o quasi con la frangetta e vai a capire perché, noi tutti o quasi col bomber, gli occhiali scuri comprati alla bancarella, le magliette a maniche lunghe con i bottoni al collo.
Erano gli anni in cui ci si passavano poche sigarette, nessun libro e qualche Dylan Dog, fumetti da scoprire e selle del motorino da dividere, come i soldi per la birra: la Du Demon per i più duri, per tutti gli altri Ceres. Vicino lo specchio gel o spuma, se ti andava bene il Denim del supermercato e se ti andava male anche il Clerasyl, se era finito il Topexan, o peggio il dentifricio. Continua a leggere
Festeggiavamo quando i muri crollavano
Avevo dodici anni.
Ricordo le immagini buie di una festa, illuminata da sorrisi e fuochi d’artificio. Tanti ripetevano la stessa parola: speranza.
Abbracci e lacrime, l’espressione solenne dei miei che prendevano atto che il mondo stava cambiando. Mi spiegarono che diventava migliore. Io non capivo come un muro che veniva distrutto contribuisse al miglioramento, perché fosse così importante per tutto il mondo e non solo per gli abitanti di quella città.
Ero rapito da quelle immagini, ovunque veniva ribadito che si trattava di un momento epocale. Io di epocale non avevo mai visto nulla: la luna, l’omicidio di Kennedy, il ritrovamento del corpo di Moro: erano tutte immagini che mi erano state trasmesse con la stessa enfasi, ma che avevo vissuto sempre successivamente, addomesticate in un documentario o un vecchio servizio del Tg, senza nemmeno i colori.
Continua a leggerePolitica, cultura, possibilità: ne parlo con Pippo Civati
A Latina lo scorso anno è nato un festival davvero interessante. Si chiama Potere alle Storie ed è dedicato alle narrazioni, sotto qualunque forma vengano eseguite. Lo scorso anno il tema era “Spiegare il mondo attraverso il calcio“, quest’anno invece le parole chiave sono Rivoluzione, Possibilità, Cambiamento.
Liberi sulla Carta è partner di questa bella e vitale realtà, per cui mi fa sempre molto piacere che gli organizzatori mi invitino a partecipare.
Lo scorso anno abbiamo parlato di come il calcio rispecchi la società nel quale si muove, spesso influenzandola, partendo dal bellissimo libro di Guy Chiappaventi “Aveva un volto bianco e tirato”, sul caso Re Cecconi.
Quest’anno il tema è ben più impegnativo: dovrò parlare di cultura, politica e possibilità: lo farò con un ospite che ha sempre dimostrato di avere idee chiare in merito: Pippo Civati. Al di là di ogni appartenenza politica, Civati è una delle rare voci che mi pare abbia sempre compreso non solo l’importanza della cultura, ma anche della missione che può svolgere nella società: ad oggi una vera e propria possibilità inespressa. E forse non è un caso che stia per partire un interessante progetto editoriale: People, una casa editrice indipendente che lo vede impegnato in prima persona.
Insomma, spunti ce ne saranno e a possibilità che ne venga fuori un confronto interessante ci sono. Per questo ringrazio Potere alle Storie per avermi invitato e Pippo Civati per aver a sua volta accettato e, per chi può, vi aspetto domenica 11 novembre, al Museo Cambellotti di Latina.
Se proprio non riusciremo a cambiare il mondo, proveremo almeno a raccontarlo, attraverso le possibilità.
E il ritorno per molti non fu

“Dillo ancora che la ami!”

Ha il volto irregolare di Totò
Uno dei meccanismi alla base della comicità, è molto chiaro: fa ridere riconoscere le proprie debolezze, innocue come un difetto fisico o ingombranti come la pochezza d’animo, a patto che avvenga una cosa: siano rappresentate da qualcuno nel quale ci si riconosce, ma al tempo stesso si percepisce come peggiore di noi. Qualcuno che si comporta come potremmo farlo noi, ma non come effettivamente facciamo: una denuncia della nostra inadeguatezza, sì, ma rassicurante, ché in fondo c’è di peggio.

E’ spettinato come Pappagone
Così il comico è buffo, brutto, con le maniche troppo larghe e i calzoni troppo stretti, è spettinato come Pappagone-Peppino De Filippo e Mario Cioni-Roberto Benigni, oppure ha il volto irregolare di Totò e Marty Feldman; è troppo come Aldo Fabrizi o troppo poco come Woody Allen, è fuori posto, a disagio, come Massimo Troisi e Carlo Verdone oppure è arrogante e padrone della situazione come Diego Abatantuono; è brutto e sfortunato come Lino Banfi, oppure si muove seguendo logiche proprie, surreali, come Renato Pozzetto; ha i nostri difetti come Sordi o ce li rinfaccia senza pietà, diventando una caricatura surreale come i Monty Python o cinica come Nanni Moretti (che proprio comico non è).
Il comico deve piacere a tutti, ma nessuno dovrebbe voler essere come lui.
Non deve essere stato facile per lei, così bella, perfetta, invidiabile, farci ridere così tanto.
Nessuna, come lei.
Nessuna come Monica Vitti.
“Dillo ancora che la ami!”
“Sì che la amo!”
(Ciao Monica!)
La splendida Monica Vitti
I due libri di mio padre
Papà sapeva quanto mi piacesse leggere. Eppure, in tutta la sua vita, mi ha parlato solo di due libri.
Lo ha fatto spessissimo, ogni volta come se stesse condividendo una magnifica esperienza, lui che a quanto ricordo non era un gran lettore.
Succedeva che a intervalli regolari li prendesse dalla libreria, li sfogliasse, dicesse che avrebbe voluto rileggerli, e poi li riponesse.
Uno dei due libri era Papillon, di Henri Charrière (e la seconda parte della sua storia, Banco), che raccontava di un uomo che non si arrende al carcere duro cui è stato condannato (non ricordo se ingiustamente) e, dopo decenni di soprusi e tentativi falliti, alla fine riesce ad evadere. Continua a leggere