L’intervista di Amadeus a John Travolta mai andata in onda a Sanremo

Amadeus: Grazie John, grazie per essere qui al Festival di Sanremo!

John Travolta: Grazie a te, grazie a voi per avermi invitato, è sempre un piacere venire in Italia, è un Paese bellissimo.

A: Questo è il festival della canzone italiana, che rapporto hai con l’Italia? E la sua musica? Conoscevi il festival di Sanremo? Ascolti musica italiana?

JT: Oh, sì. Da cinque anni in USA non si parla d’altro! (pubblico ride). Tutti si chiedono chi sarà il nuovo Presidente e chi sarà il nuovo conduttore di Sanremo! Forse torna Trump, forse torna Pippo Baudo? (pubblico ride). Seriamente, amo la musica italiana, l’italiano è la lingua della lirica, Nessun dorma di Luciano Pavarotti, adoro! Ma anche Bocelli, o Volare! Se penso al canto, alla musica, penso all’Italia.

A: La musica ha sempre avuto un ruolo importante nella tua carriera, indissolubilmente legata ad alcuni brani come Staying Alive, Grease o You Never Can Tell, che ballavi con Uma Thurman in una scena iconica in Pulp Fiction. Nella tua vita quanto conta la musica?

JT: Oh, veramente tanto! Non dimentico mai che dentro di me sono principalmente un ballerino, prima di essere un attore sono uno che ama muoversi a tempo di musica. Non vado molto ai concerti, ma non potrei vivere senza la musica, che unisce le persone, le generazioni, i Paesi: io sono americano e sono qui in Italia, dove tante persone conoscono Stayng Alive, cantata in una lingua diversa e in anni in cui molti degli artisti che sono qui, non erano nemmeno nati. Questa è la magia dell’arte, la magia della musica, unire ciò che è ancora troppo diviso. Il mondo ha bisogno di unione, e di musica! (parte la colonna sonora di Staying Alive, lui accenna un passo, lo fa anche tutto il pubblico esortato da Amadeus)

A: Davvero un pezzo indimenticabile del cinema e della musica, un personaggio, quello di Tony Manero, che è ormai nell’immaginario collettivo da mezzo secolo. Ecco, con La febbre del sabato sera interpretavi un giovane della fine degli anni ’70, la tua generazione, mentre in Grease davi vita a ragazzi della generazione precedente. Ultimamente con tua figlia Ella hai ballato proprio Grease, al Superbowl (vediamo le immagini), un video che ha milioni di visualizzazioni su tik tok, che oggi contribuisce a creare l’immaginario quanto il cinema o la TV facevano una volta. Che differenze trovi tra i ragazzi di oggi, la generazione di Tik Tok e di Ella, e quelli del passato?

JT: Devo dirtelo; nessuna differenza. C’è nei giovani una grande passione. Ella ha ereditato la mia per il ballo, ma vediamo come i giovani in tutto il mondo hanno energia e la spendono per quello che credono: l’arte, l’ambiente, la pace, qualsiasi sia il loro percorso, hanno forza e passione. Forse dovremmo cercare di ricordarlo, non dire sempre “ai miei tempi era meglio” ma capire che era meglio perché avevamo quella passione, e cercare di ritrovarla. Come quella che c’è qui, per la musica, per i fiori, per quello che riteniamo bello e ci fa stare bene. No, non c’è nessuna differenza.

A: Grazie John, quello che dici è moto bello. La passione è importante, so che tu ne hai una particolare… (ammicca)

JT: A cosa ti riferisci? (Fa la faccia sospettosa e preoccupata, il pubblico ride)

A: Agli aerei! So che ti piace volare.

JT: Ah QUELLA passione! (sospiro di sollievo plateale, nuove risate del pubblico) Credevo avessi indagato di più! Comunque sì, adoro gli aerei, mi piace volare, ho il brevetto da tanti anni e stare così in alto mi fa stare bene. Non so spiegartelo, ma è come se avessi bisogno di salire per vedere tutto più chiaramente. Adoro il volo, è libertà.

A: Il volo in qualche modo ti permette di isolarti, tu che sei una star internazionale e immagino sarai sempre circondato dall’attenzione degli altri.

JT: È così. Non fraintendermi, adoro il mio lavoro, adoro il pubblico, vivo per stare tra la gente. Ma a volte è importante avere uno spazio in cui sei solo con te stesso, le nuvole non ti fotografano, non ti fanno domande, non sanno chi sia Johnn Travolta. Nella vita ho condiviso i momenti belli con il pubblico, ma ci sono momenti difficili in cui ti salvi solo se riesci a stare con te stesso (l’attore ha perso la moglie e un figlia ndr). Anche così forse ho potuto superare momenti di solitudine come quelli avuti nella pandemia, cercando di trovare nella solitudine le risposte alle domande che tutti noi ci facevamo in qual momento difficile, per fortuna oggi superato.

A: E come ha detto stasera il Maestro Allevi, ritrovare noi stessi, le cose importanti, anche la musica, può permetterci di dare un senso anche al dolore.

JT: È assolutamente così! Viva la musica, viva Sanremo! (Applausi)

A: Grazie John, davvero! Lì c’è Fiorello, vuoi fare il ballo del qua qua con un cappello da papera?

JT: No grazie.

A: Ok, salutiamo il grande John Travolta, e  a più tardi con il dodicesimo cantante in gara.

Amadeus e John travolta al Festival di Sanremo (Foto Bestmovie.it)

NB: Le risposte di John Travolta sono tratte, più o meno, da interviste rilasciate in passato. Alcuni passaggi sono inventati e i siparietti su Sanremo sono scritti con la stessa (scarsa) originalità che avrebbe avuto un autore del festival (Si veda Amadeus che si stupisce per ogni cosa che avviene sul palco, credibile come un Babbo Natale da centro commerciale). Ne risulta un’intervista tutto sommato breve, banale, non particolarmente accurata, che avrebbe richiesto un paio d’ore di sforzo a un autore mediocre: sarebbe stata migliore dell’umiliante teatrino andato in onda? Sì.

Le nomine al Teatro di Roma e la spartizione della cultura

Per capire perché sulla nomina di Luca Di Fusco a direttore generale del Teatro di Roma siano volati gli stracci tra le Istituzioni e sia nata una protesta che ha coinvolto anche molti attori e registi (Elio Germano, Vinicio Marchionne, Matteo Garrone per ricordarne alcuni), bisogna fare un piccolo passo indietro che contestualizzi la scelta del Ministero e della Regione Lazio.

Esattamente dieci anni fa, nel 2014, Luca Barbareschi, attore e produttore, nonché ex deputato del centrodestra, acquista il Teatro Eliseo.
Dagli articoli che si trovano in rete l’operazione è costata tra i quattro e i (più  credibilmente) sette milioni di euro.
Negli anni la gestione di questo teatro ha messo a rischio la continuità della sua programmazione, richiedendo “salvataggi” ad opera di corposi innesti di soldi pubblici (due milioni nel 2017 anche dal governo di centrosinistra), tanto che nel 2022 l’On. Barbareschi mette in vendita il Teatro. La cifra richiesta è di 24 milioni di euro, non certo un affare: infatti non arrivano offerte.

A dicembre 2023 la Regione Lazio del presidente Rocca ritiene però che non ci sia modo migliore di spendere quei soldi e prova ad acquistare il Teatro Eliseo per l’iperbolica cifra richiesta da Barbareschi, che ne vorrebbe, stando alle dichiarazioni, mantenere la direzione artistica.
L’operazione non va in porto, perché l’opposizione in Consiglio Regionale solleva proteste tante e tali, che pure qualcuno a destra probabilmente si vergogna e quei soldi vengono destinati ad altre iniziative culturali nelle aree periferiche della Regione, pur prevedendo il nuovo emendamento comunque dei fondi a favore del Teatro di Luca Barbareschi.


Nel frattempo a Roma nel maggio 2023 era nata la Fondazione Teatro di Roma, con l’intento di proseguire la funzione della omonima associazione e che oltre a gestire il Teatro Argentina, secondo la volontà del Comune di Roma che ne ha promosso la costituzione, dovrebbe gestire anche il Teatro Valle, che verrebbe quindi restituito alla cittadinanza dopo anni in cui all’esperienza dell’occupazione che ha portato su quel palco molti dei migliori artisti italiani, è seguito uno sgombero e una chiusura. Due teatri che appartengono al Comune di Roma, vale la pena specificare.

Dopo la bocciatura dell’acquisto dell’Eliseo da parte della Regione, succede nel giro di pochi giorni, una cosa inaspettata: i consiglieri d’amministrazione della Fondazione indicati dalla Regione Lazio e dal Ministro Sangiuliano (sono tre in totale, contro i due nominati da Comune di Roma) scelgono Luca De Fusco quale Direttore Generale del teatro di Roma, riconoscendogli uno stipendio più che raddoppiato rispetto a quanto dallo stesso percepito allo Stabile di Catania per lo stesso ruolo.
Il Comune di Roma contesta la scelta nel merito (Gualtieri voleva un manager e non un regista) e nel metodo: la destra ha votato un nome in assenza dei consiglieri del Comune, e senza alcuna concertazione con l’Ente che di fatto ha immaginato la costituzione della Fondazione quale strumento per la realizzazione delle proprie politiche culturali.
Attori, registi, lavoratori dello spettacolo e dipendenti del teatro sono contrari a una nomina che non veda la partecipazione del Comune (questo al di là del valore del prescelto, che non è il tema in questione) ma la premier Meloni, quella che ha un cognato Ministro del suo Governo e la sorella dirigente del suo partito, commenta così: “È finito il tempo dell’amichettismo di sinistra”.

Ora, io non è che sia bravo a predire il futuro, ma secondo voi, nel caso l’assetto del management di Teatro di Roma non cambi, a qualcuno verrà in mente di fare entrare nella gestione della fondazione anche il Teatro Eliseo?

Mi gira in testa questa idea, insieme a una considerazione un po’ bislacca: quella che la cultura si debba produrre, diffondere, e non spartire.

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Librerie e acquisti on line: la Francia contro Amazon

La Francia contro Amazon: penalizza le librerie.

La crisi delle librerie, specie quelle indipendenti, è un fenomeno che non si verifica solo in Italia, dove secondo l’Ali (Associazione librai italiani) dal 2012 al 2023 le librerie sono passate da 3901 a 3640: ad incidere su questi numeri sono una parte la diminuzione del numero di libri acquistati, dall’altra l’acquisto on line, che per costi, velocità e comodità spesso soppianta quello nella libreria fisica.

Già nel 2020 l’Associazione italiana editori (AIE) aveva annunciato il sorpasso delle librerie on line a scapito delle librerie fisiche. Un risultato che probabilmente risentiva della limitata circolazione imposta e in alcuni casi della forzata chiusura delle attività dovute alla pandemia Covid-19, con la conseguente diminuita abitudine dei lettori ad acquistare fisicamente il libro e a frequentare librerie tradizionali (del resto spesso impossibilitate dalle norme di sicurezza a organizzare iniziative e incontri pubblici che incentivassero le vendite). I dati degli anni successivi alla fase più acuta della pandemia, durante i quali le chiusure sono state prima rare e meno incidenti e poi assenti, confermerebbero questa ipotesi, essendo il fatturato delle librerie tradizionali tornato a crescere a livelli superiori rispetto a quello delle librerie on line, attestandole nuovamente come primo canale di vendita dei libri.

Tuttavia la concorrenza delle vendite on line che mette a rischio la sopravvivenza di quelle fisiche potrebbe rientrare in una normale dinamica di mercato se il settore in questione, l’editoria, non fosse considerato meritevole (dal legislatore e dalle autorità competenti) di particolare attenzione relativamente alla pluralità degli operatori e dei prodotti che dovrebbero arrivare ai lettori; da questo punto di vista, già la conformazione del mercato editoriale, con le sue enormi concentrazioni e integrazioni verticali, rende marginale il ruolo di mediatore culturale del libraio indipendente, ma in generale la scomparsa delle librerie rischia di indebolire l’offerta culturale dei territori: per dirla con le Stefano Mauri, editore (è presidente del gruppo Gems) e distributore di libri (è vicepresidente di Messaggerie italiane):”Quando i librai indipendenti scendono sotto una certa soglia, l’editoria diventa troppo d’allevamento, […] mentre con presentazioni, informazioni sui social e corsi di ogni genere, questi negozi diventano veri e propri centri culturali”.

Se per correre ai ripari in Italia sono state approvate due leggi che limitano la possibilità di fare sconti (più facili per chi vende on line), con la Legge Levi del 2011 e con la più recente Legge 15/2020, di cui ho già scritto in passato (qui l’articolo pubblicato da The Vision) in Francia si fa di più: è appena entrato in vigore un decreto che tassa di tre euro le consegne per l’acquisto di libri on line relativo a ordini inferiori ai trentacinque euro, mentre rende illegale la spedizione gratuita per ogni tipo di importo (anche se potrà essere applicato anche un solo centesimo per questo il servizio).

È chiaro come l’obiettivo del Governo francese sia cercare di penalizzare la distribuzione dei colossi del web per garantire maggiore competitività alle librerie, per questo non si è fatta attendere la reazione del più importante rivenditore on line, Amazon, che ha denunciato la scelta come dannosa per l’interesse dei cittadini, cavalcando quella argomentazione tutt’altro che campata in aria secondo la quale, se il consumatore riceve un servizio migliore, l’innovazione è da considerarsi sempre positiva. E’ anche vero che ad Amazon, così come ad ogni altro operatore commerciale, interessa vendere un libro, e non certo proporre, scegliere, sviluppare capacità critica o creare una comunità di lettori, obiettivi che invece sembrano porsi i legislatori. Di contro, i librai francesi riuniti sotto la sigla SLF, reputano la misura ancora insufficiente a colmare il gap competitivo, dovendo sostenere spese di spedizione mediamente di 7,5 euro. Vedremo se questa misura risulterà efficace, ma mi sorprenderei se tre euro fossero sufficienti a cambiare le abitudini dei francesi e a mantenere in vita i presidi culturali che le librerie fisiche rappresentano sul territorio.

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Hai scelto una domenica di maggio

Hai scelto una domenica di maggio, di quelle col sole, che come me sei metereopatica e quando c’è la pioggia che fatica far correre il tempo, che noia fare le cose, com’è difficile non cadere e sembra impossibile restare su.

Hai scelto una domenica ed eravamo tutti lì, anche se non eravamo d’accordo ma non potevamo mica dircelo, solo pensarlo, che non era quello il momento, che era troppo presto, e ci si leggeva in faccia quindi la faccia la cambiavamo, che non volevamo la leggessi pure tu.

Che poi lo sapevamo che il tempo era scaduto e da parecchio, ma pure che a te non andava mica bene.

Volevi aspettare, il tempo ti serviva e te lo sei preso tutto, tu che l’hai usato più per dare che per prendere, fino a quel giorno con il sole, che non lo so se te lo sei scelto, ma sì, era quello giusto.

E noi c’eravamo tutti lì, a tenerti ognuno per un pezzetto, che dicevamo per accompagnarti ma in realtà, l’ho capito dopo, ti stavamo trattenendo.

Come quando ci si abbracciava: a papà che era gigante ci si aggrappava, a te che eri piccola ti si teneva stretta, più vicina, che sei di carta e il vento c’è sempre stato il rischio ti portasse via. 

Hai scelto una domenica di maggio e per te era quella giusta, ma per noi no, quella giusta non sarebbe mai arrivata.

Perché non eravamo preparati a vivere le cose senza raccontarle a te, e non ci avevano spiegato a che serve una foto ai bambini se poi non puoi vederla tu e guarda mamma, guarda che bravi, hai visto cosa riusciamo a fare?

Tu sembravi di carta ed eri cemento, dura a buttar giù, presente fra ogni singolo mattone che eravamo noi, a tenere uniti cuori lontani, ti saluta zia, lo zio non sta tanto bene, devo chiamare, salgo in macchina, vado a trovarli, porto i vostri saluti, sì stiamo tutti bene, pure tu che bene non stavi quasi mai.

Papà diceva che quando muore un padre finisce un matrimonio, e quando muore una mamma, finisce una famiglia. Ma tanto tu con papà non eri mai d’accordo e allora voglio dirti che no, non era come dice lui. 

Perché noi lo sappiamo che ora manca il cemento, per questo da quella domenica di maggio siamo rimasti tutti aggrappati, uno all’altro, che non cadere adesso sembra difficile pure se non piove ma guarda, mamma, guarda che bravi: hai visto come restiamo ancora su?

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Che cosa avete voluto?

Era il 1978.

“E allora signor Presidente che cosa abbiamo voluto, cosa avete voluto? La parità di diritti? Avete cominciato a scimmiottare l’uomo! Voi portavate la veste: perché avete voluto mettere i pantaloni?
Avevate cominciato con il dire “avevamo parità di diritto”. Avevate cominciato con il dire “perché io alle nove di sera devo stare a casa, mentre mio marito, il mio fidanzato, mio fratello, mio nonno, il mio bisnonno vanno in giro?”. Vi siete messe voi in questa situazione! Non l’abbiamo chiesto noi questo!
E allora purtroppo ognuno raccoglie i frutti che ha seminato!
Se questa ragazza si fosse stata a casa, l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente! Eh no signore, è una realtà questa!”

Nel 2023

“Ma se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi.”

Ecco, la frase di Giambruno dice che certi uomini non si sono mossi di un passo.
E non accetto il giochetto della speculazione politica, perché questa non è una questione imputabile alla destra, o per lo meno non solo alla destra. Quello che accomuna chi la pensa così non è l’appartenenza politica, ma una mentalità maschilista che permea ogni altra cosa, e che (sebbene appartenga persino a non poche donne), è un problema soprattutto di noi uomini.

(Sì ok, non di tutti gli uomini, ma facciamo anche un passo avanti ogni tanto, ok?
Che se non si individua il problema, figurati la soluzione.)

Io lo so cosa abbiamo voluto.
È il diritto a non essere stuprate mai, per nessun motivo, in nessun contesto. E quando invece avviene, quello che abbiamo voluto non è la ricerca delle cause di uno stupro, ma la condanna di uno stupratore.

Non impieghiamo altri 45 anni ad arrivarci.

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Social Media e Marketing culturale: comunicare un prodotto culturale è promuovere il territorio che lo ospita

Comunicare un evento o uno spazio culturale

Che significa curare un piano di comunicazione di un evento o uno spazio culturale?

Quali sono i nostri referenti, gli strumenti a disposizione, il linguaggio più efficace, il budget necessario e gli obiettivi da raggiungere? E come possiamo misurarli?

Il lavoro di ufficio stampa e di social media strategist e manager risponde a regole precise, che è necessario conoscere, ma non basta: la comunicazione di un evento o di uno spazio che produce cultura ha bisogno di strumenti adeguati e parametri che gli sono specifici, perché non si può fare l’ufficio stampa di un museo, o di un festival, utilizzando la stessa tecnica che useremmo se svolgessimo il ruolo presso un’istituzione pubblica, una società sportiva o una catena di negozi.

Questo corso serve a realizzare quello che in potenza è già un piano integrato di comunicazione completo, e fornisce, attraverso lezioni interattive e laboratori pratici, gli strumenti di base per adattare le scelte del responsabile della comunicazione alle diverse realtà in base alle necessità, agli obiettivi, al budget, alla continuità del lavoro da realizzare.

Quanto dura il workshop?

Il Workshop si svolge in due moduli di tre ore, più un terzo di laboratorio pratico relativo all’impiego di un budget in Facebook, Instagram e TikTok Ads (contenuti sponsorizzati).

Chi tiene il workshop?

Il workshop è tenuto da me, che oltre a ricoprire il ruolo di direttore del festival letterario Liberi sulla Carta, sono il fondatore di LSC Agency, agenzia letteraria e di comunicazione, e ho maturato anni di esperienza in comunicazione pubblica.

Il laboratorio è tenuto da Francesco Martinelli, consulente di digital advertising, specializzato nel media buying su piattaforme di social media, ambito che conosce e frequenta professionalmente sin dagli inizi.

A chi è rivolto?

Giornalisti, uffici stampa e social media manager che vogliono specializzarsi in comunicazione culturale, organizzatori di eventi, responsabili di musei, teatri, associazioni culturali attive nella promozione del territorio, aspiranti addetti alla comunicazione per enti culturali che non possiedono conoscenze di base del marketing culturale o che intendono approfondire le potenzialità del web per aumentare visibilità, immagine e reputazione di un evento.

Non occorre una preparazione particolare per acquisire le competenze di base, ma solo una conoscenza e dimestichezza con i principali social network.

PER INFO O PRENOTAZIONI: 320 333 6944

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Ridi su tua sorella!

Il Ministro Lollobrigida parla di sostituzione etnica, essendo per sua stessa ammissione un ignorante, e scatena reazioni, fra le tante anche quella della satira o di chi si autodefinisce tale.

La vignetta di Natangelo sul Fatto Quotidiano (cui ne è seguita un’altra, che vede ancora protagonista la moglie del Ministro) ha fatto discutere perché fa leva sulle corna e sul gradimento della moglie del Ministro per una sostituzione che non è proprio quella che Lollobrigida intendeva.

Dunque ecco qua la trovata rivoluzionaria: la moglie a letto col nero che la tromba.
Diciamo che per me può valere il principio del “vale tutto perché la satira è satira“, e se c’è qualcuno che deve alzare il sopracciglio, certo non può essere il potente preso di mira (diverso è semmai il mio giudizio su cosa sia satira e cosa non lo sia, come in passato ho anche scritto su questo blog).
Ma.

Il problema non è solo che questa satira commetta l’errore di colpire una persona che non è un personaggio pubblico (attacca Lollobrigida ma usa sua moglie per farlo, incidentalmente sorella della Presidente del Consiglio), quanto che contemporaneamente perpetui anche lo stereotipo della donna fedifraga e del nero mandingo da monta, che manco in un film di Lino Banfi degli anni ’70.

Il tutto, che per me è la questione più grave, senza nemmeno far ridere.
Viva la libertà di satira, ma viva pure il diritto di dire che fa schifo, quando lo pensiamo.

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