A meno di vent’anni ero stato rapito dallo Zibaldone e, con l’ignoranza tipica di chi ha studiato, ma sempre troppo poco, incontrata una cosa così bella pensavo fosse l’unica, l’ultima veramente necessaria, che non ci fosse null’altro di importante da leggere. Eppure non sono mai riuscito a leggerlo tutto. A meno di vent’anni credevo di conoscere Leopardi, anche se dell’Infinito avevo l’infarinata del liceo classico, e del resto mi rimaneva la biografia di Renato Minore, consigliata dall’entusiasta professoressa di lettere. Di Leopardi amavo il pensiero, la visione, la sensibilità, e più che l’ermo colle mi emozionavano il pastore errante e la luna, di cui forse m’innamorai allora.
Oggi sul caminetto di casa mia c’è incorniciata una copia del testo manoscritto dell’Infinito, un vezzo che mi concedo come se la poesia potesse essere un gadget turistico, un complemento d’arredo.
Ce l’ho messo per ricordarmi quello che ho amato, e certe volte guardare le cancellature, le correzioni, le parole aggiunte o cambiate, emozionandomi come quando a meno di vent’anni credevo di conoscere Leopardi e, se ci penso bene, pure tutto il resto.