A giudicare dalla loro parabola artistica, fatte le dovute proporzioni tra Beppe, mattatore degli anni ’80, e Natalino che si è allontanato dagli schermi troppo presto, circa un decennio dopo, la carriera di Beppe Grillo e Natalino Balasso mostra parecchi punti in comune: entrambi comici popolari, dissacranti, coraggiosi nel fustigare i costumi dei loro tempi, entrambi lasciano la TV per dedicarsi con maggiore libertà al proprio lavoro. Prima in teatro e poi sul web, dagli applausi ai like il passo è breve.
Di Grillo ormai sappiamo tutto: allontanato dalla TV per aver attaccato il PSI al Governo negli anni ’80, da anni gestisce uno dei blog più influenti del mondo. Si impegna in tematiche sociali e prima attacca, poi tocca e infine invade la politica, trasformandosi da comico a fondatore e “capo politico” di una delle forze maggiormente rappresentate oggi in Parlamento, alla guida di diverse città tra cui la Capitale del Paese.
Un percorso che Natalino Balasso non ha (ancora?) compiuto: come più volte ha affermato, si è allontanato dalla popolarità e dai soldi facili delle tv commerciali per poter disporre di maggiore libertà artistica. Anche lui però, come il suo collega, non disdegna di vestire l’abito del comico-guru e predicatore del web: lo fa in particolare nei video denominati pomposamente “discorsi di fine anno”, l’ultimo dei quali capace di registrare oltre mezzo milione di visualizzazioni in tre giorni.
Con le battute di Balasso si ride e si riflette con identica facilità, ma è lui il primo ad ammonire: “qualcuno pensa, erroneamente, che il comico possa portare la gente a nuovi livelli di coscienza. Ma, a giudicare dai risultati, si direbbe che la coscienza sia sopravvalutata.” (Balasso: discorso di capodanno 2016).
Malgrado la citazione possa sembrare un attacco indiretto a Beppe Grillo, le tematiche di fondo dei due comici parrebbero essere più o meno le stesse: viviamo in modo grottesco, con uno stile di vita dannoso per noi e per l’ecosistema, soggiogati da logiche incoerenti, miopi e ridicole.
Energia, consumismo, finanza, pubblicità e comunicazione, sono il nucleo centrale dell’analisi dei due comici, con Grillo che si concentra di più sullo scadimento della politica e Balasso che non ha paura di mettere nel calderone anche la religione, inchiodandone gli apparati alla responsabilità che hanno sull’andamento dei nostri tempi.
Nessuno dei due però ha una visione statica della società, per entrambi è da cambiare: collettiva, politica, l’azione proposta dal genovese (“uno vale uno”), individuale, introspettiva sembra suggerire Balasso (“ma perché non sei capace di guardare un tramonto in silenzio?”).
A ben vedere tali soluzioni sono frutto di diverse concezioni del popolo, che subisce passivamente per Grillo, che determina l’andamento degli eventi per Balasso.
Per Beppe Grillo il popolo deve riassumersi la responsabilità del proprio futuro a scapito delle élites finanziarie, economiche, politiche e culturali che gliel’hanno sottratta. Ciò si può compiere solo attraverso la sua capacità di ribellarsi e occupare gli spazi delle vecchie élites, riportando al centro dell’agenda politica gli interessi del cittadino attraverso la non-élite dei cittadini parlamentari, dei cittadini sindaci e dei cittadini membri del governo. Perché il popolo, sembrerebbe essere il ragionamento sotteso, è comunque portatore di bene, onestà, verità e giustizia, e i suoi rappresentanti non possono che esserne meri portavoce, incapaci di dare un valore aggiunto o di rappresentarlo, rispetto a quello assoluto che risiede nella maggioranza dei cittadini-elettori (“la gente”).
Con Grillo viene messo in discussione ogni principio di intermediazione: dei partiti in politica, dei sindacati sul lavoro, dei giornalisti nell’informazione, fino alle aberrazioni (fortunatamente marginali) che vedono mettere in dubbio l’autorevolezza di medici e scienziati, ad esempio sulla necessità di ricorrere a determinati vaccini.
È di questi giorni la vicenda che ha visto protagonista il Medico Roberto Burioni, che rigettando in toto questa parziale (e imprecisa) concezione della democrazia, si è rifiutato di riconoscere sulla sua pagina FB il diritto di parola a chi confutava le informazioni fornite sull’origine dei recenti casi di meningite e sull’importanza dei vaccini. “La scienza non è democratica”, la conclusione di Burioni, che ha precisato, raccogliendo un successo inaspettato, come non sia possibile riconoscere dignità all’opinione di chiunque non fosse in possesso degli strumenti necessari per conoscere e comprendere la questione trattata.
Quasi contemporaneamente, Beppe Grillo lanciava un’invettiva contro i mezzi di informazione, accusandoli di essere produttori di notizie false per garantire la conservazione del potere da parte chi lo esercita, proponendo una giuria popolare estratta a sorte con il compito di giudicare la veridicità della notizia e di imporre al direttore responsabile “di chiedere scusa a capo chino”. Al di là della valutazione sui media, per la quale ognuno è libero di maturare le proprie conclusioni, colpisce come ancora una volta Grillo faccia riferimento al popolo quale portatore di verità: è il popolo che sa distinguere. Mi chiedo se comprendesse nel conto anche quelli che copincollano sulla propria bacheca i consigli della Guardia di Finanza per tutelare la propria privacy da FB.
Molto diversa la posizione di Balasso, che pure accusando le élites delle loro scelte scellerate, si guarda bene dal riconoscere al popolo un ruolo salvifico. Corresponsabile, semmai.
Le colpe sono di tutti, la società in astratto non esiste ma è frutto delle scelte che facciamo ogni giorno. Non c’è un’ élite di cattivi che tiene soggiogato un popolo di onesti lavoratori, ma anzi quest’ultimo è diviso in lobby, parrocchie, campanili, partiti e cartelli, che tirano ognuno dalla propria parte, fregandosene del bene comune, degli interessi generali, e scegliendo i politici più adatti a soddisfare i propri immediati bisogni. E poiché nella società ci sono i disonesti, i vili, i profittatori, i paraculi, i pigri, gli sciatti, gli invidiosi, i mediocri e gli ignoranti, non stupisce che vi siano anche fra coloro che vengono scelti per rappresentarne i cittadini. “Adesso, la merda che ci circonda, l’ha confezionata direttamente il popolo: quello che stiamo vivendo, non c’entra un cazzo con la Rivoluzione Francese! […] Adesso il Popolo è il Re […]”(Balasso, discorso di fine anno 2016).
Con un po’ di cinismo si potrebbe affermare che evocare la possibilità di un Governo degli onesti a capo di un paese che ha la più grande percentuale al mondo di evasori, corrotti, mafiosi e raccomandati (nella PA, nelle Università, nelle scuole, nella RAI, ovunque), significherebbe fornirsi un comodo alibi: erano gli altri ad essere cattivi. Il che potrebbe essere anche vero, per carità.
In fondo non è forse questo che dice Grillo, quando invita il cittadino ad entrare nelle istituzioni e dire Vaffanculo a quelli che ci sono già? Beppe è tutto sommato rassicurante: se la tua vita e i tuoi comportamenti sono sbagliati è perché gli altri ti fanno vivere così, tu finora glielo hai permesso, adesso mandali a fanculo! (“Ieri il re in fuga e la Nazione allo sbando, oggi politici blindati nei palazzi immersi in problemi “culturali”. Il V-Day sarà un giorno di informazione e di partecipazione popolare”, annunciava nel 2007 sul blog).
Ed è qui che si registra il divario più grande fra Beppe e Natalino: Balasso non concede alibi. Per il comico veneto, a differenza del collega, se il mondo è una merda e tu ne fai parte, devi trarne le dovute conclusioni. In primis perché tu non sei il fabbro che sbatte Luigi XVI sulla sedia e lo schiaffeggia col proprio berretto. Non stai facendo la Rivoluzione come credi o, peggio, come ti vanti.
Beppe è incazzato, la soluzione è cacciare via tutti, da qualsiasi posizione che li ponga anche solo un gradino più su degli altri, per sostituire ciò che non ha funzionato con ciò che (non si sa bene perché), di certo funzionerà.
Balasso sembra invece disperato. Sebbene denunci, attacchi, ridicolizzi il sistema, alla fine ci lascia l’orrendo sospetto che la soluzione non ci sia, concedendoci l’unica consolazione della consapevolezza, in grado di farci apprezzare i violini che suonano mentre la nave affonda.