No, il social media manager di INPS non ha ragione (e voi non dovreste ridere)

Sono diventate virali sui social, in particolare su FB, gli screenshot dei commenti di chi, sulla pagina INPS per la famiglia, chiede informazioni sul reddito di cittadinanza.

Già le richieste, comunicate spesso in un italiano arrangiato, sono spiazzanti e inopportune, come quella di chi dichiara di lavorare in nero proprio a chi dovrebbe predisporre i dovuti controlli per evitarlo, oppure quelle di chi se la prende con l’Ente se l’importo dovutogli è inferiore a quanto ascoltato nelle promesse elettorali, fino a chi si rifiuta di seguire le semplici istruzioni ricevute per avere maggiori informazioni, ritenendole troppo difficili.

inps famiglia

Un estratto dalla pagina Facebook di INPS per la famiglia

Insomma, ci sarebbe materiale per una bella ricerca sociologica che abbracciasse diversi argomenti: dalla padronanza del linguaggio alla conoscenza delle norme, fino alla capacità critica in merito alle notizie che si ricevono.

Tuttavia a rendere per migliaia di utenti ancora più spassoso seguire la pagina FB dell’INPS sono le risposte che l’Ente fornisce tramite i propri social media manager, che di fronte alle pretese talvolta assurde degli utenti, non esita a fare quello che tecnicamente viene definito blastare, cioè rispondere in maniera ironica o sarcastica, vagamente saccente quando non apertamente sprezzante, mettendo l’interlocutore di fronte alla propria pochezza intellettuale.

Le risposte che appaiono sul profilo dell’Ente sono degne del miglior Burioni con picchi sublimi come  “non può richiedere il suo PIN sull’apposito portale perché è troppo impegnata a farsi selfie con le orecchie da coniglio?

Ammetto che ad una prima lettura tutto ciò possa sembrare ilare, un teatro dell’assurdo con personaggi che sembrano usciti dal repertorio di un feroce autore satirico, con svarioni linguistici, malintesi, evidenti casi di analfabetismo funzionale.

Tuttavia ci sono due aspetti che dovrebbero essere considerati prima di esprimere il giudizio.

Il primo è che il profilo FB di un Ente Pubblico svolge un servizio pubblico. Per esperienza professionale, ma anche per semplice buon senso, posso affermare che la voce ufficiale di un Ente pubblico non può assumere il colore e le sfumature del suo social media manager, anzi non dovrebbe nemmeno produrre contenuti diversi da quelli di semplice e pura informazione, meglio se nel linguaggio più semplice e comprensibile possibile. L’INPS non è simpatico o antipatico, non è sferzante o accomodante, non è Taffo che cerca di suscitare complicità in un determinato target di pubblico, dando personalità alla sua azienda a prescindere dal servizio che svolge.

L’INPS è invece uno strumento pubblico, che svolge un ruolo pubblico, anche a favore e per conto di quei cittadini che gli si rivolgono nella maniera più opportuna. Capisco che dietro ogni profilo ci sia una persona, con la sua limitata pazienza (senza ombra di dubbio stressata dalla situazione), ma ogni mestiere presuppone specifiche capacità: gestire il profilo social di un Ente richiede quella di non lasciarsi andare a giudizi e considerazioni personali e avere con il pubblico un approccio professionale e realmente attento, che abbia l’obiettivo di fornire effettivamente il servizio, non solo di svolgere il proprio compito informativo, per il quale sarebbe bastato un post non soggetto a interazioni.

Quindi se in questo momento i social media manager dell’INPS stanno ricevendo attestati di solidarietà e supporto, non posso non notare che ciò accade perché non sono stati in grado di svolgere la propria funzione correttamente, creando un cortocircuito tra impersonalità della pagina e solidarietà verso le reazioni di chi la gestisce, che diverte ma certo non migliora il servizio offerto.

Il secondo punto della riflessone verte invece sull’oggetto di tanta ilarità: l’inadeguatezza linguistica e culturale di chi si rivolge alla pagina per avere il reddito di cittadinanza.

miseria-e-nobiltàRicordo quanto mi facessero ridere Totò ed Enzo Turco in Miseria e Nobiltà, commedia basata sul contrasto tra poveri e ricchi e sulle differenze culturali fra i due ceti. Era una costruzione esilarante in cui l’incapacità dei poveri di rapportarsi ai ricchi, alle loro abitudini, ai loro modi d’esprimersi, li rendeva ridicoli e spassosi. La scelta del punto di vista poi, creava empatia con i cialtroni che non avevano mai occasione di mangiare un gelato e si infilavano gli spaghetti in tasca, non certo con chi sapeva usare correttamente le posate a tavola.

 Quello però era un film.

Nella realtà, al netto di chi polemizza per ribadire posizioni politiche cristallizzate (“avete creduto al reddito di cittadinanza per tutti perché non capite nulla”), di empatia se ne crea ben poca: i poveri sono messi alla berlina, la loro scarsa capacità di spirito critico, di utilizzo dei mezzi tecnologici o semplicemente della lingua, è indicata come una colpa per cui ridicolizzarli. Vi sta bene perché siete poveri ignoranti, sembra essere il sotto testo di molte critiche, e non si capisce quale delle due condizioni sia la causa o l’effetto dell’altra.

Stupisce che molte di queste critiche giungano da persone che si dichiarano di sinistra, qualunque cosa questo significhi: perché è proprio sul rapporto tra povertà e ignoranza (o se preferite: mancanza di cultura) che la lente andrebbe puntata, stando bene attenti a non trasformare la guerra alla povertà e all’ignoranza come guerra ai poveri e agli ignoranti, che forse una volta erano bacino elettorale proprio di chi oggi punta il dito mentre si chiede perché le sue posizioni “non vengano più capite” da quel popolo.

Tra una risata e una battuta su chi gode del diritto di voto senza apparentemente meritarselo, viene da domandarsi quale sia la missione di una forza politica genuinamente popolare, se ridere di un povero per le sue orecchie di coniglio o domandarsi come mai tra i poveri siano così tante le orecchie d’asino.

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