Green Pass e Leggi razziali. Cosa non avete capito?

La discriminazione degli ebrei in Italia, attraverso l’approvazione delle leggi razziali, è la pagina di storia più buia che il nostro Paese abbia scritto dopo l’unità.
Con le restrizioni volute dal regime fascista, gli ebrei non potevano accedere ai pubblici uffici, stare nell’esercito (dal quale vennero congedati o messi in quiescenza), subivano limiti alla possibilità di avere proprietà immobiliari, attività industriali e commerciali (ad esempio non potevano avere dipendenti che non fossero ebrei), con la conseguente confisca dei beni e delle aziende.
Erano vietati i matrimoni misti, venne impedito ai bambini di andare a scuola (in questo l’Italia fascista fu addirittura più veloce della Germania nazista, che tale provvedimento non lo aveva ancora varato), i professionisti di razza ebraica erano messi in condizione di non poter esercitare la professione e, quando potevano, subivano una tassazione speciale. Persino nel mondo dello spettacolo c’era una norma che limitava o impediva l’accesso ad artisti ebrei.
Questo in tempo di pace.
Successivamente i cittadini ebrei vennero rastrellati, caricati su carri merci stipati all’inverosimile e inviati nei campi di concentramento; quelli che sopravvivevano al viaggio (spesso non era così), venivano selezionati: da una parte la forza lavoro da sfruttare fino al deterioramento completo del corpo e dello spirito, dall’altra corpi da gasare subito nelle docce e ammassare nelle fosse comuni. Non mancavano ebrei costretti a prostituirsi con i militari in cambio di condizioni appena più decenti, così come altri usati come cavie umane per la ricerca medico scientifica, che spesso sfociava nella mera curiosità sadica.

Tutto questo non succedeva perché gli ebrei avevano fatto scelte politiche in contrasto col regime: in Italia esistevano ebrei che erano stati fascisti, militari che avevano partecipato alle guerre coloniali del regime, funzionari di Stato e persino di partito.
La discriminazione avvenne perché erano nati ebrei e quindi dal fascismo considerati diversi, inferiori, senza alcuna possibilità di scegliere se appartenere o meno alla categoria discriminata.

Le limitazioni subite non erano temporanee, non affrontavano uno stato di emergenza, non cercavano di tutelare la salute di nessuno, bensì erano riconducibili, secondo i fascio-nazisti, a quello che era l’ordine naturale delle cose.
Limitazioni che rendevano degli esseri umani qualcosa di cui sbarazzarsi, gradualmente o in maniera drastica, dopo aver sottratto loro non la possibilità di accedere a un ristorante, ma tutti i beni, la dignità, la vita.

Oggi leggo quasi ovunque paragoni tra quella tragica storia e le limitazioni alla libertà personale che il green pass comporta. Non voglio entrare nel merito e non voglio convincere nessuno. Ho fatto il vaccino perché penso che senza sarei stato più pericoloso per me e per chi mi sta intorno, esattamente come ho accettato l’obbligo di guida con lenti sentendolo una necessità, non una limitazione alla mia libertà di non portare gli occhiali al volante.
Quando ho accettato di indossare la cintura di sicurezza, l’ho fatto concedendo ad altri di decidere quale fosse il comportamento corretto per la mia salute, e non ho mai protestato contro i vaccini obbligatori che si fanno per accedere in certi paesi esotici, figuriamoci considerarli una limitazione alla mia possibilità di viaggiare ovunque.

Malgrado ciò, chi non vuole vaccinarsi credo abbia il diritto di dire le sue ragioni, anche quando sono complottiste o strampalate: quella è una libertà che non possiamo né dobbiamo negare.
Quello che non possiamo tollerare però, è che in virtù di questa libertà, ignoranti che non conoscono, non capiscono o non rispettano la Storia, tirino in ballo il dramma degli ebrei e delle leggi razziali.

Non mi interessa se non volete vaccinarvi, ma mi interessa che i vostri comportamenti non mettano a rischio la salute degli altri, facendo di voi degli irresponsabili egoisti.

E non mi interessa se, secondo la vostra singolare idea di libertà, volete protestare contro una forma di tutela che prevede limitazioni che chiunque può superare vaccinandosi, ma mi interessa che nel portare avanti questa vostra idea non utilizziate il più grande dramma che la storia occidentale ricordi, atteggiandovi a perseguitati, rendendovi soltanto degli intollerabili, mitomani, cialtroni.

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La seconda ondata e il “Si salvi chi può”

Ci dobbiamo preoccupare? Dopo la tregua estiva il Covid19 fa registrare decine di migliaia di nuovi positivi ogni giorno, un tasso crescente di positività dei tamponi effettuati, ospedalizzazioni e decessi che crescono. Anche se c’è chi dice che in fondo la situazione sarebbe meno grave di quanto sembra, la seconda ondata è arrivata.

(Foto Manduria Oggi)

In questa situazione in cui tutto è contestabile, mi fido soprattutto del giudizio dei medici e paramedici che lavorano negli ospedali. Per questo tremo se, come sta succedendo, da quelli che conosco mi arrivano segnali preoccupanti. Uno di loro, poco prima che iniziassi a scrivere, ha detto che è molto peggio che ad aprile. Certamente è così al centro-sud: nel Lazio ad esempio, affrontiamo un’emergenza di proporzioni enormi rispetto alla prima ondata, che fu particolarmente drammatica in una sola porzione del territorio italiano, come in molti potrebbero testimoniare, avendo conoscenza diretta di più casi in queste poche settimane che durante tutta la primavera.

Se queste informazioni sono vere, non serve fare confronti tra la fotografia di oggi e quella di aprile-maggio, se non si tiene conto della velocità di progressione dei numeri. Se non si considera che altrove la stessa progressione sta portando al collasso come in Francia, e anche in Germania fa correre ai ripari con misure dannose per l’economia.

Una rotta che andrebbe invertita velocemente, perché non è questione di mesi o settimane, ma di giorni prima che i numeri diventino insostenibili. Soprattutto se l’unica soluzione è fidarci della nostra capacità (ma in molti casi anche possibilità) di tenere comportamenti idonei a non far veicolare il virus. A quel punto potrebbe essere inevitabile bloccare lo sviluppo del contagio attraverso il lockdown, e non più tramite il tracciamento e i tamponi che mi pare chiaro siano in costante ritardo sul virus.
Una scelta che non solo non è auspicata da chi governa, che sa che con essa dovrebbe affrontare molte più difficoltà, ma che sarebbe insostenibile per le economie delle famiglie: ne sono tutti consapevoli, per cui mi pare vuota retorica e bassa speculazione politica utilizzare questa argomentazione come sfavorevole alla chiusura.
La priorità dunque diventa quella di trovare sin d’ora le risorse e le soluzioni per chi non potrà lavorare, compresi i sommersi, e che arrivino subito e in misura adeguata.
In attesa dei promessi fondi europei (che comunque non sono la manna né una vittoria alla lotteria), che arriveranno fra diversi mesi, si rendono necessarie misure alternative, che uniscano il Paese e non le corporazioni, come ad esempio chiedere un piccolo, proporzionato sacrificio a chi è più garantito, e un contributo straordinario di solidarietà da parte di chi dispone di grandi redditi e patrimoni (come hanno fatto in Spagna, per un risultato complessivo non eccezionale ma certo dando un segnale importante di solidarietà sociale).

Non c’è tempo, non c’è scelta: mentre intere città vanno in ebollizione, dobbiamo decidere se è più importante soffermarci a disquisire se nelle piazze che si rivoltano c’è la presenza di ultras, fascisti e malavitosi, oppure prendere atto che quelle piazze danno voce ad un’esigenza reale e drammatica, che mafia e fascisti sono abili a cavalcare.

In questo quadro in cui le forze anti Stato cercano di utilizzare il disagio e la sofferenza di larghe fette di popolazione, lo Stato ha il compito di farsi esso stesso l’interlocutore di quelle piazze.
Per farlo deve essere convincente e credibile: prima di far “circolare bozze”, dica in che modo supereremo non solo il virus, ma anche la crisi economica, non solo col sacrificio dei cittadini, ma anche grazie all’intervento delle Istituzioni. Parli di riforma fiscale, di una leva giusta e proporzionata, che non cerchi solo quale sia la categoria da salvare, ma che agisca anche sulle differenze enormi all’interno della stessa categoria. Ristorazione, cultura, turismo, intrattenimento, terzo settore in generale: non basta dare soldi a tutti, se non si garantisce non solo un parziale ristoro per i più grandi, ma la sussistenza per quelli più in difficoltà.

In fretta e con chiarezza, lo Stato esca dalla sola gestione emergenziale del fenomeno e torni a dare una prospettiva di uguaglianza e giustizia sociale. Ci sono cittadini che nel momento di massimo sacrificio hanno bisogno di aiuto per sopravvivere, ma anche di validi motivi per cui valga la pena uscire vivi dal lockdown.

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Ripensare gli spazi urbani per un nuovo modello di cittadinanza: ne ho scritto per Left

La quarantena ha presentato in maniera evidente il costo in termini sociali di città nelle quali vive più della metà della popolazione italiana, pensate con un centro storico di pregio e molte periferie-dormitorio, ove l’urbanistica non favorisce la convivenza ma anzi la mancanza di spazi comuni e servizi di qualità acuisce conflitti sociali tra deboli: con l’economia in ginocchio e la necessità di interventi pubblici per rilanciarla, è doveroso immaginare un ripensamento del sistema-città e nuovi modelli di partecipazione attiva alla trasformazione di esse. Ne ho scritto per Left, trovi qui l’articolo completo.

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@FabrizioMoscato

Sul Coronavirus

Avere paura è sbagliato, non siamo di fronte alla peste e per quasi tutti gli infetti non ci sono rischi vita. Esorcizzare la paura con incontri, feste, appuntamenti che incentivano la socializzazione, in questo periodo di scuole chiuse e massimo sforzo, non aiuta. Paura no, attenzione sì. Continua a leggere