Ogni libro ha la sua voce. Anche quelli brutti.
Cos’è la narrativa, in ultima analisi, se non lasciare che un libro racconti la storia che il suo autore ha scelto?
L’autore è marginale alla storia, o per lo meno sarebbe bene che lo fosse, perché è quest’ultima a doversi prendere l’attenzione del lettore, è la storia la vera protagonista di un buon romanzo, non chi pone la propria firma in bella vista sulla copertina.
È importante sapere chi ha scritto il libro che stiamo per leggere, ci mancherebbe altro.
A ogni nome associamo la capacità di scegliere le storie più adatte alla nostra sensibilità, al nostro gusto, ma anche quella di scegliere il modo migliore per raccontarcele.
Per ogni voce narrativa, una diversa capacità di attrarre lettori diversi.
Chi legge si appropria delle storie e impara a riconoscerne la voce, in un meccanismo che lo porta spesso a confondere l’oggetto della sua lettura, non più la storia ma l’autore stesso.
In questa inevitabile metonimia c’è un naturale evolversi delle dinamiche che legano uno scrittore ai suoi lettori, o meglio un lettore ai suoi scrittori.
Nulla di male dunque, che in libreria si attenda, si cerchi, si scelga proprio quell’autore.
A meno che non ci sia qualcosa di diverso, alla base di questa identificazione tra il libro e il suo autore, ma soprattutto dell’intersecazione tra il nome dello scrittore e le storie raccontate nei suoi libri.
Negli anni il ruolo dello scrittore è molto cambiato.
Recentemente Alessandro Baricco ha candidamente riconosciuto: “Ci chiedono di parlare e noi lo facciamo, perché c’è qualcuno che ascolta”.
Parlare dunque, non necessariamente delle proprie opere, diventa una componente non secondaria del ruolo dello scrittore moderno.
D’altronde, per restare all’autore di Oceano Mare, nello stesso incontro Baricco sollevava lo scontato quesito: “Cosa avrebbero potuto aggiungere Salinger o Hemingway alle loro opere, parlandone?”.
Eppure le presentazioni, gli incontri con i lettori, in massima parte le apparizioni televisive, d’un tratto acquisiscono un’importanza decisiva, quasi quanto la capacità di scrivere, per decretare il successo o meno di uno scrittore.
Abituati ormai all’ovvietà che il libro sia contemporaneamente opera d’arte e prodotto commerciale, ci troviamo spiazzati di fronte all’ipotesi che lo scrittore passi da produttore a prodotto, esso stesso e non più il libro vero oggetto di promozione.
Dunque uno scrittore tradotto in tutto il mondo come Baricco riempie i teatri e affascina grandi platee televisive con doti da attore consumato; Mauro Corona raggiunge una grande popolarità più per la sua scelta di vivere come un boscaiolo sulle montagne, ciclicamente raccontata in tv a Daria Bignardi, piuttosto che per i suoi apprezzati libri; Antonio Pennacchi, che dell’invettiva politica ha fatto un tratto irrinunciabile della sua immagine, arriva a spendere il suo nome per un’iniziativa elettorale a Latina, la sua città.
Sino al paradosso di Roberto Saviano: la qualità del coraggioso romanzo-denuncia Gomorra è indubbia, ma è altrettanto certo che lo scrittore debba la sua popolarità principalmente alle seguitissime partecipazioni televisive, nelle quali il suo ruolo di scrittore è marginale rispetto a quello, non meglio definito, di giornalista d’inchiesta o novello predicatore.
D’altronde il fatto di prendere posizione su argomenti non strettamente letterari non è una novità, e certo non è un male: è prezioso il ruolo di coscienza critica della società che gli scrittori ricoprono, guai a quella società ove ciò non avvenisse.
Dal “J’accuse” di Emile Zola all’Io so ma non ho le prove di Pier Paolo Pasolini, le pagine più importanti per la crescita civile della società contemporanea sono state scritte spesso al di fuori dell’alveo di un romanzo.
Non è dunque su questo che è necessario riflettere, quanto piuttosto della tendenza crescente a fare degli scrittori, chissà se consapevoli o meno, dei veri e propri personaggi.
Ma quali sono i personaggi principali? Quelli che si muovono nelle storie raccontate o quelli che padroneggiano i salotti televisivi?
Entrando in libreria e scorrendo velocemente la classifica dei libri più venduti rischieremmo di trovare la risposta più temuta.
Il sistema dello star system hollywoodiano applicato alla letteratura? Gli scrittori che diventano star o peggio ancora il processo inverso?
Nessuna sorpresa dunque, nel registrare enormi affluenze di pubblico in grandi eventi come il Salone Internazionale del Libro di Torino e dati di vendita che invece vedono da anni il segno “meno”.
Si cercano divi in grado di conquistare pubblico, dimenticandosi che occorre avere degli scrittori in grado di convincere alla lettura i lettori.
Forse è su questo aspetto che gli editori, alla disperata ricerca di una nuova generazione di lettori forti, dovrebbero rivolgere la loro attenzione.
Certo, non solo loro.
Se esiste una responsabilità per lo stato attuale delle cose, questa è da attribuire a tutto il “panorama politico culturale italiano, […] gente che riproduce sé stessa da generazioni” (Marco Mantello, La rabbia, Transeuropa).
L’assenza ingiustificata di una vera critica letteraria, denunciata da Archibugi e Cortellessa nel documentario “Senza scrittori” e ripresa da Gian Paolo Serino sulle pagine di Satisfiction (“le pagine culturali sono responsabili della nostra morte civile”) è indubbiamente complice della lenta ma progressiva estinzione di lettori cui stiamo assistendo.
Se il mondo che si riconosce in quella che per semplicità viene chiamata “critica letteraria” si arrende alle logiche del mercato, senza nemmeno la parziale scusante adottata dagli editori di dover comunque far fronte a esigenze contabili ineludibili, lasciando spazio a valutazioni che esulano dalla letterarietà di un testo per concentrarsi sugli aspetti contenutistici o peggio di commerciabilità, allora non sarà possibile in nessun modo contrastare la scelta della scorciatoia, del libro da supermercato, oggi lo leggo, anzi lo compro, domani chissà.
Non è possibile pensare di formare amanti della lettura percorrendo (quasi) esclusivamente la strategia di legare questi ultimi alla popolarità di un personaggio.
Lo scrittore può essere un personaggio, ma è soprattutto altro.
È uno che sceglie le storie migliori per i suoi lettori, e trova il modo migliore per raccontargliele.
[Questo editoriale è stato pubblicato sulla versione cartacea di LSC MAG Anno I n.2]