Il motivo per cui odio il Carnevale – quarta parte-

david gnomoL’ultimo costume che ho indossato a Carnevale lo ricordo ancora bene.

Ero un bambino timido, “riservato”, dicevano i grandi. Socializzavo poco, già allora preferivo passare il mio tempo a leggere fumetti piuttosto che a giocare con gli altri, a fare nuove amicizie.

I miei non potevano accettare che anche a Carnevale avessi questo atteggiamento. Dovevo mascherarmi, stare con gli altri bambini, in una parola: divertirmi.

“Ma come faccio a divertirmi se ho sempre dei costumi brutti, goffi, ridicoli o incomprensibili”, protestavo io. Per i miei non era vero, ero io che ero strano. “I tuoi costumi sono come quelli degli altri”, diceva mia madre, mentre armeggiava con il mio vecchio costume da Alcor, personaggio gregario di Goldrake che avevo infaustamente interpretato qualche anno prima. L’abito andava adattato per mio fratello: anche lui si doveva arrangiare, quell’anno lì, mi fecero pesare. Tolto il casco e i guanti, adattata la tutina blu con una toppa ad hoc, aggiunto un mantello rosso e un paio di stivali e oplà: ero il fratello di Superman. Volevo vomitare.

I miei mi dissero che saremmo andati a Civita Castellana, se avessi voluto avrei partecipato ad un carro (lì il Carnevale è una tradizione molto viva). Pensai che in fondo, se come me fossero stati vestiti molti altri, per lo meno non sarei stato un soggetto. Cosa potevo rischiare? Accettai. Sarei stato vestito con il costume a tema di un carro di Carnevale. Magari, con un po’ di fortuna, il tema sarebbe stato Guerre Stellari, o i Supereroi, o i Cavalieri dello Zodiaco, o addirittura G.I.Joe!

Era David Gnomo.

Mia madre si mise al lavoro per realizzare il costume da David Gnomo, forte del consenso estortomi con l’inganno. Da parte mia mi consolavo: non sarei stato l’unico ad avere quel costume imbarazzante, magari alla fine me la sarei cavata.

Il Costume da David Gnomo, protagonista di un cartone animato eccitante come una lezione di Algebra alle 3 del mattino, e tuttavia degno di una sigla che tutti i nati negli anni ’70 hanno il dovere morale di ricordare, non è difficile. Maglione blu, Pantaloni Marroni, cappello rosso a punta, barba e baffi bianchi. Niente di particolarmente difficile. Le indicazioni del carro erano diverse: gli gnomi avrebbero dovuto indossare maglia rossa e pantaloni blu. Poco male, la sostanza non cambiava.

Chiunque avrebbe avuto poche difficoltà nel reperire pantaloni blu e maglia rossa, per questo mia madre decise di alzare il coefficiente di difficoltà: “Te li faccio io!

Ho già scritto che non era una sarta. Ho scritto anche che all’epoca avevamo due copisterie in famiglia e le spillatrici in casa mia erano un complemento d’arredo in ogni stanza. Comprò la stoffa, ritagliò pantaloni e maglia, cucì insieme la parte anteriore e quella posteriore dei capi d’abbigliamento non lesinando grappette nelle zone più difficili. Fu un lavoro dal risultato scadente, ma ancora oggi sono grato a mamma per tutto quell’impegno, per quanto inutile.

Indossai l’abito con l’attenzione del caso (“attenti che si scuce!”, ma in realtà ero prudente per non ritrovarmi con incisioni bizantine all’altezza del cavallo dei pantaloni). Il cappello era anch’esso di stoffa, ma uno scheletro di cartone (spillato, ça va sans dire) lo teneva rigido, a favorire l’effetto gnomesco; per la barba non avevo l’ovatta, come pensavo, ma la stoppa: meno candida, ma tutto sommato credibile. Sembravo Gandalf che va al Gay Pride, ma non ero proprio male: nel giusto contesto, tutti avrebbero capito che ero uno gnomo.

Venne il giorno.

Indossai il costume sopra consueti abiti. Pantaloni blu, maglietta rossa. Cappello. Dov’è il cappello? Eccolo. Sì, ma la base di cartone? Non l’hai presa tu? Forse è in macchina! Abbiamo parcheggiato lontanissimo, indietro non si torna. Va bene, lo può mettere anche così. In pochi secondi l’incubo: mi schiaffarono in testa un cappello moscio, che mi ricadeva tristemente sull’orecchio sinistro.

Non feci in tempo a dire che non mi piaceva così (e d’altronde ero in strada, non potevo vedermi), perché subito mi prese l’agitazione quando sentii “E con la barba come facciamo?”

La barba? Cioè, già questo è un costume di merda, il cappello è moscio e io non ho neanche la barba? Era indispensabile, per lo meno per rendermi irriconoscibile.

“La barba non serve, mica tutti gli gnomi hanno la barba!”

“Ma come no, che dici? Semmai le gnome non ce l’hanno (e manco tutte)”

“E cucciolo? Lui la barba non ce l’ha, tu sei uno gnomo giovane!”

“Ma mamma, Cucciolo è un nano, non uno gnomo! È pure un po’ ritardato! Io senza barba non ci vado sul carro!”

“Ok. Te la faccio io

Mamma tirò fuori dalla borsetta una crema idratante, qualcosa di simile alla Nivea, ma molto più profumata, e iniziò a spalmarmela sul viso. La prendeva con due dita, interi pezzi di crema che cercava di appiccicarmi alla faccia. Ero interdetto. “Sembra una barba?” domandai dubbioso a mio fratello mentre armeggiavano sul mio viso. “Sì” disse lui. Che cazzo gliene fregava, lui era Superman.

“Ecco fatto” disse soddisfatta. Mio padre guardava altrove. Il carro si avvicinava. “Vai, vai!” mi dissero tutti, vedendomi titubante.

In fondo il Carnevale è bello per questo: ci si lascia andare, lo spirito Dionisiaco che scaccia quello Apollineo, e chi se ne importa se domani avremo un’altra immagine, se oggi siamo buffi o facciamo fesserie, il Carnevale è allegria, musica che sale, come quella di questo carro che sta passando, che si fa assordante, ed è pieno di gnomi barbuti, Vai, vai, corri!, arrivo, eccomi gnomi, ci sono anche io!

“Te,’ndo cazzo vai? Questo è er carro di’i gnomi”

Le parole del tizio col cappello a punta e la barba mi colpirono nell’orgoglio. Due chili di coriandoli mi colpirono in pieno volto. La metà restò attaccata al viso, impastata con la poltiglia di crema che mi copriva guance e mento.

Mentre tornavo a casa mi specchiai nel finestrino della macchina: una cuffia rossa moscia, la faccia per metà di coriandoli e per metà idratata come quella delle modelle ventitreenni che fanno la pubblicità delle creme anti invecchiamento, i pantaloni strappati manco fossi Hulk e nel cuore una definitiva certezza.

Io lo odio, il Carnevale.

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