Una Mercedes per Malika

(Foto Il Messaggero)

Ho già detto la mia su Malika, la ragazza cacciata di casa perché lesbica.

Di famiglia musulmana, dopo che la sua vicenda era stata resa nota da un servizio delle Iene attraverso la diffusione di orribili messaggi vocali da parte della madre, la ragazza è stata protagonista di una grande gara di solidarietà, che ha raccolto oltre 140.000 euro di donazioni da parte di persone che volevano aiutare Malika a rifarsi una vita.

Oggi la ragazza racconta di aver utilizzato parte di quei soldi per comprarsi una Mercedes, un gesto che agli occhi di molti mortifica il fine per cui tanta gente si era mossa per aiutarla.

Anche a me non è piaciuto leggere quell’affermazione e certo tutta la vicenda non mi pare edificante nella ricostruzione che ne ha fatto Selvaggia Lucarelli, ma per onestà intellettuale devo dire che non trovo giusto sindacare sul modo in cui il destinatario di una donazione intende impiegare la stessa: quei soldi le sono stati donati quale risarcimento alla sorte che le era toccata, per permetterle di avere una vita migliore: è questo lo spirito che ha animato i tanti donatori.

Il fatto che Malika abbia pensato che la cosa giusta da fare fosse comprarsi una macchina costosa invece che investire sul suo futuro, non cambia i termini della questione.

Si tratta sempre di una disgustosa storia di omofobia, cui molti hanno deciso di reagire aiutando la ragazza.

Che poi lei abbia fatto dei soldi un uso tanto effimero, denota soltanto una sua scarsa intelligenza, confermata dal fatto di sbandierare l’acquisto quando sarebbe stata consigliabile una maggiore oculatezza.

Successivamente poi Malika ha ritrattato, spiegando che l’auto l’aveva comprata usata perché ne aveva bisogno: mi sembra l’ennesimo tassello di una vicenda stucchevole, di cui non dovremmo parlare in questi termini.

Quello che sarebbe davvero grave, e ad oggi non c’è nessun elemento che possa far ritenere che sia così, sarebbe scoprire che tutta la vicenda è stata una montatura per carpire soldi a gente in buona fede. Invece il fatto (oserei dire purtroppo…) non sembra essere messo in dubbio, i vocali sono autentici e la ragazza è stata davvero allontanata dalla famiglia per il suo orientamento sessuale.

Se però si solidarizza con Malika per il trattamento ricevuto, delude constatare come lei non abbia pensato di impiegare parte di quei soldi per aiutare chi non ha avuto la sua stessa visibilità. Ma non sorprende, e non solo perché non era affatto obbligata a farlo: la mancanza di sensibilità sociale ed empatia verso il prossimo, era già emersa quando Riccardo Pirrone, Social media manager di Taffo che pure aveva incentivato la raccolta fondi, aveva mostrato come, già in passato, Malika aveva condiviso sui social idee traboccanti egoismo e vago razzismo, sposando in merito ad accoglienza e solidarietà, le peggiori posizioni dei sovranisti.

Quegli stessi sovranisti che oggi puntano dito contro di lei.

Ma sì sa: quando il saggio punta il dito verso la luna, lo stolto guarda il dito; quando invece lo fa verso un caso di omofobia, quello guarda la Mercedes.

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“Te la do io l’Europa!” è il mio #Urlotifoso per gli azzurri

Dopo cinque anni la Nazionale torna a giocare la fase finale di un torneo e io, che come tutti di secondo lavoro non retribuito faccio il CT della Nazionale, ne parlo con pacatezza e distacco su RietiLife, che ringrazio per ospitare il mio #UrloTifoso!

Ecco i link di tutte le partite:

Italia – Turchia 3-0 (Aut. Demiral, Immobile, Insigne)

Italia – Svizzera 3 – 0 (Locatelli, Locatelli, Immobile)

Italia – Galles 1 – 0 (Pessina)

Italia – Austria 2 – 1 (Chiesa, Pessina, Kalajdzic)

Italia – Belgio 2 – 1 (Barella, Insigne, Lukaku rig.)

Italia – Spagna 1-1 (4-2 d.c.r.; Chiesa)

Italia – Inghilterra 1-1 (4-3 d.c.r.; Bonucci)

Fedez e la censura, Pio & Amedeo e le risate

Tutti hanno letto della denuncia di Fedez, secondo il quale i dirigenti RAI hanno cercato di censurare preventivamente il suo intervento al concerto del 1 Maggio, impedendogli di citare frasi omofobe pronunciate da politici leghisti e dicendo apertamente i nomi degli autori.

Malgrado la smentita della RAI, il video della telefonata registrata dal rapper non lascia molti dubbi in proposito. Quello che colpisce, cogliendo il palese imbarazzo dei dirigenti RAI Tre, è che probabilmente questi burocrati non hanno nemmeno ricevuto l’ordine di decidere così: lo hanno fatto sapendo che una presa di posizione netta come quella di Fedez, sulla televisione pubblica, avrebbe suscitato reazioni politiche.
E la prima conseguenza probabilmente sarebbe stata uno stop alle loro carriere: evidentemente anche la libertà ha un costo e non tutti, come Fedez, possono permettersi di pagarlo.

Così mentre sulla rete ammiraglia Mediaset, che ha un padrone, Pio e Amedeo ci spiegano in prima serata che se dici negro e ricchione, o se fai battute antisemite, in fondo va bene lo stesso, basta ridere in faccia a chi usa queste parole, (anzi per molti osservatori il problema è tuo se non capisci lo spirito e non cogli che a volte si fa senza cattiveria, “così, per ridere!”), sulla televisione pubblica, che è di tutti ma che finisce per essere della politica, si invita l’artista a considerare “il contesto”.

Fedez ha ragione a indignarsi, come tutti noi, ma forse stavolta invece che concentrarci su quanto siano aberranti le idee che il rapper vuole denunciare (viva i diritti, sempre, per tutti), una riflessione la meriterebbe anche “il sistema”, che ormai va autonomamente a tutelare certi interessi e a proteggere certi equilibri.

Perché sarebbe ora di chiedersi se il “sistema” che vede la politica impadronirsi di ogni strumento collettivo non sia, per la democrazia, più dannoso del delirio omofobo di un consigliere leghista. Soprattutto se la soluzione che spesso si invoca è la dismissione di tali strumenti, con il risultato di metterli tutti in mano ai privati che possono permetterseli, fossero pure gli stessi che ci spiegano che che “mettere nel forno un figlio gay” può essere una metafora. Magari da contestualizzare. O da disinnescare ridendo in faccia a chi lo dice.

Meglio se in privato però. O almeno lontano dalle telecamere di RAI Tre.

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Malika, lesbica cacciata di casa, cosa c’è dietro il suo caso?

Nei giorni scorsi si è parlato molto di Malika, la ragazza lesbica cacciata di casa, protagonista negli ultimi giorni sui social e in un servizio delle Iene.

La ragazza ha incontrato molta solidarietà, ma è stata anche attaccata da molti, quasi tutti con la medesima connotazione politica, perché “ci ha marciato per far soldi”, “sapeva cosa pensavano i genitori”, e in definitiva la sua denuncia “è la solita battaglia della sinistra radical chic”.

In effetti a favore della ragazza si è scatenata una vera campagna di solidarietà, che nel momento in cui scrivo ha superato i 120 mila euro.

Di contro, c’è chi ha difeso strenuamente i genitori, la famiglia tradizionale italiana, quella che vuole il matrimonio etero, meglio se in chiesa, e avversa con ribrezzo le unioni civili, minacciata dai “progressisti buonisti”.

Una dinamica già vista, se non fosse che, sembrerebbe che in passato la ragazza abbia sostenuto campagne come “porti chiusi” e “basta 35 euro al giorno ai migranti”, avversando ogni forma di solidarietà verso chi si trova in condizioni oggettive di difficoltà. Una serie di post circolanti in rete, che Malika avrebbe prontamente rimosso dopo essere stata protagonista di una campagna di solidarietà così partecipata.

Ma c’è di più: la sua famiglia, chiusa, gretta e ignorante, additata come tale dai sinistrorsi, è stata difesa dai soliti primaglitagliani perché tradizionale. Ora emergerebbe che questa famiglia, in cui in fondo “la madre ha il diritto di cacciare la figlia e non accogliere in casa una lesbica”, sarebbe una famiglia mussulmana, a quanto pare per nulla integrata con i NOSTRI VALORI ®, proprio come quelle che i soliti noti vorrebbero fuori dall’Italia.

La loro è una diversità intollerabile, tranne che per l’omofobia: quella in fondo la possiamo capire, poveri genitori che disgrazia….

Insomma, un cortocircuito valoriale che mostra cosa ci sia davvero dietro certe prese di posizione, che vede l’omofobia fare a botte col razzismo e certo modelli ideali e ipocriti di società sgretolarsi nelle proprie contraddizioni. Una cosa che, se non fosse drammatica, potrebbe essere esilarante.

In tutto questo, c’è chi sta ancora dalla parte di Malika, pur non condividendo affatto le sue idee, e la sostiene contro ogni discriminazione subita, per rispetto delle proprie.
Chissà che non ci sia una lezione in tutto questo. Per noi, ma anche per lei.

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Parlamentari Europei bocciano discriminazioni LGBT. Tranne quelli che “prima gli italiani” (etero)

È successo questo: in Polonia, uno dei Paesi dell’Unione Europea, nascono le LGBT free zones, cioè città in cui chi non è eterosessuale non è gradito.
Uno dei limiti dell’Unione Europea è stato non riuscire a unire complesse diversità al suo interno. A volte la differenza è stata ricchezza, ma quando si discriminano le persone è solo orrore, molto simile a quello per contrastare il quale il sogno europeo nacque.

Fonte: europarl.europa.eu

Ieri il Parlamento Europeo ha dato un segnale, votando una risoluzione che di fatto censura le oltre 80 amministrazioni pubbliche polacche “LGBT Free” e dice che i soldi dell’Unione vanno spesi per integrare, non per discriminare. Larghissima maggioranza ha votato la risoluzione. Contrari i parlamentari polacchi.

La seconda delegazione per voti contro è quella italiana, con il voto di Fratelli d’Italia, Lega e un deputato di Forza Italia.
Quelli che dicono prima delle elezioni che l’Italia deve contare di più in Europa.
Per una volta, per fortuna, l’Italia che vorrebbero rappresentare loro, ha contato di meno.

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La seconda ondata e il “Si salvi chi può”

Ci dobbiamo preoccupare? Dopo la tregua estiva il Covid19 fa registrare decine di migliaia di nuovi positivi ogni giorno, un tasso crescente di positività dei tamponi effettuati, ospedalizzazioni e decessi che crescono. Anche se c’è chi dice che in fondo la situazione sarebbe meno grave di quanto sembra, la seconda ondata è arrivata.

(Foto Manduria Oggi)

In questa situazione in cui tutto è contestabile, mi fido soprattutto del giudizio dei medici e paramedici che lavorano negli ospedali. Per questo tremo se, come sta succedendo, da quelli che conosco mi arrivano segnali preoccupanti. Uno di loro, poco prima che iniziassi a scrivere, ha detto che è molto peggio che ad aprile. Certamente è così al centro-sud: nel Lazio ad esempio, affrontiamo un’emergenza di proporzioni enormi rispetto alla prima ondata, che fu particolarmente drammatica in una sola porzione del territorio italiano, come in molti potrebbero testimoniare, avendo conoscenza diretta di più casi in queste poche settimane che durante tutta la primavera.

Se queste informazioni sono vere, non serve fare confronti tra la fotografia di oggi e quella di aprile-maggio, se non si tiene conto della velocità di progressione dei numeri. Se non si considera che altrove la stessa progressione sta portando al collasso come in Francia, e anche in Germania fa correre ai ripari con misure dannose per l’economia.

Una rotta che andrebbe invertita velocemente, perché non è questione di mesi o settimane, ma di giorni prima che i numeri diventino insostenibili. Soprattutto se l’unica soluzione è fidarci della nostra capacità (ma in molti casi anche possibilità) di tenere comportamenti idonei a non far veicolare il virus. A quel punto potrebbe essere inevitabile bloccare lo sviluppo del contagio attraverso il lockdown, e non più tramite il tracciamento e i tamponi che mi pare chiaro siano in costante ritardo sul virus.
Una scelta che non solo non è auspicata da chi governa, che sa che con essa dovrebbe affrontare molte più difficoltà, ma che sarebbe insostenibile per le economie delle famiglie: ne sono tutti consapevoli, per cui mi pare vuota retorica e bassa speculazione politica utilizzare questa argomentazione come sfavorevole alla chiusura.
La priorità dunque diventa quella di trovare sin d’ora le risorse e le soluzioni per chi non potrà lavorare, compresi i sommersi, e che arrivino subito e in misura adeguata.
In attesa dei promessi fondi europei (che comunque non sono la manna né una vittoria alla lotteria), che arriveranno fra diversi mesi, si rendono necessarie misure alternative, che uniscano il Paese e non le corporazioni, come ad esempio chiedere un piccolo, proporzionato sacrificio a chi è più garantito, e un contributo straordinario di solidarietà da parte di chi dispone di grandi redditi e patrimoni (come hanno fatto in Spagna, per un risultato complessivo non eccezionale ma certo dando un segnale importante di solidarietà sociale).

Non c’è tempo, non c’è scelta: mentre intere città vanno in ebollizione, dobbiamo decidere se è più importante soffermarci a disquisire se nelle piazze che si rivoltano c’è la presenza di ultras, fascisti e malavitosi, oppure prendere atto che quelle piazze danno voce ad un’esigenza reale e drammatica, che mafia e fascisti sono abili a cavalcare.

In questo quadro in cui le forze anti Stato cercano di utilizzare il disagio e la sofferenza di larghe fette di popolazione, lo Stato ha il compito di farsi esso stesso l’interlocutore di quelle piazze.
Per farlo deve essere convincente e credibile: prima di far “circolare bozze”, dica in che modo supereremo non solo il virus, ma anche la crisi economica, non solo col sacrificio dei cittadini, ma anche grazie all’intervento delle Istituzioni. Parli di riforma fiscale, di una leva giusta e proporzionata, che non cerchi solo quale sia la categoria da salvare, ma che agisca anche sulle differenze enormi all’interno della stessa categoria. Ristorazione, cultura, turismo, intrattenimento, terzo settore in generale: non basta dare soldi a tutti, se non si garantisce non solo un parziale ristoro per i più grandi, ma la sussistenza per quelli più in difficoltà.

In fretta e con chiarezza, lo Stato esca dalla sola gestione emergenziale del fenomeno e torni a dare una prospettiva di uguaglianza e giustizia sociale. Ci sono cittadini che nel momento di massimo sacrificio hanno bisogno di aiuto per sopravvivere, ma anche di validi motivi per cui valga la pena uscire vivi dal lockdown.

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#UrloTifoso: racconto la Lazio per Roma Life

Dopo l’interruzione dovuta alla pandemia, riprende anche il calcio, che è la cosa più importante fra le cose inutili della vita.

Roma Life ha avuto l’idea di far seguire le squadre romane a due tifosi, che non potendo essere inviati sul campo, raccontino le partite delle due squadre così come le hanno vissute guardandole in casa, e lo facciano ovviamente da tifosi e non da cronisti

La rubrica si chiama UrloTifoso, mi hanno chiesto di seguire la Lazio e ho accettato volentieri.

Lascio qui i link delle partite e aggiornerò la pagina mettendo sempre l’ultima partita più in alto. Buona lettura e forza Lazio!

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2 Giugno 1946. Bandiere e bandierine

 

Il 2 giugno del 1946 il Popolo italiano tornava a votare dopo una dittatura che glielo aveva impedito per oltre un ventennio, convinta che bastassero forza e prepotenza per stabilire ordine e disciplina, per “fare cose buone”.

Il 2 giugno del 1946, con il primo voto libero e a suffragio universale della Storia italiana, non nasceva solo la Repubblica, ma si recuperava l’idea, sepolta da un quarto di secolo, che un Popolo non fosse una massa, un gregge da riunire sotto un pastore, carne da cannone per assecondare la volontà di potenza dei pochi, braccia da far lavorare, bocche da riempire e teste da rompere quando non allineate. Continua a leggere